il punto di vista di Barbara Amerio a riguardo “dell’allarme marittimi”
Grazie al punto di vista della manager italiana andiamo a vedere quali differenza ci sono dal punto di vista burocratico tra l’Italia e gli altri paesi europei.
Torniamo sul tema dei marittimi, dopo aver dedicato diversi approfondimenti sul tema, dopo l’allarme lanciato da UCINA, lasciamo la parola a una voce autorevole della nautica italiana, Barbara Amerio di Amer Yachts. Grazie al punto di vista della manager italiana andiamo a vedere quali differenza ci sono dal punto di vista burocratico tra l’Italia e gli altri paesi europei.
LN – Quali sono le principali differenza tra la normativa italiana e quella degli altri paesi europei in tema di marittimi?
La normativa sui titoli marittimi è comune, perché deriva dalla Convenzione internazionale STCW, poi recepita da una Direttiva Ue. Il problema è nell’atteggiamento delle istituzioni italiane. Gli inglesi, nel trasporla nel diritto nazionale, usano tutti i possibili margini concessi dalla normativa per sostenere il lavoro in mare e favorire i loro marittimi. La Divisione competente della Direzione trasporto marittimo italiana, invece, ha una posizione tutta burocratica e poco aperta al confronto. Lo ha dichiarato lo stesso Parlamento, riconoscendo che il recepimento delle norme internazionali “ha dato luogo a problematiche dovute alle rigidità e agli aggravi procedurali specificamente previsti nell’ordinamento italiano, che hanno avuto l’effetto di indurre un numero considerevole di lavoratori italiani del settore a conseguire i titoli marittimi in altri Stati dell’Unione europea e, in particolare, nel Regno Unito”. Ma non è bastato.
LN – Quali Paesi, e perché, possono essere considerati un modello da seguire su questo argomento?
In Uk, Francia, Usa, persino in Grecia, la burocrazia è al servizio dei marittimi e non il contrario. I marittimi, come i piloti d’aereo, hanno un certificato di competenza che devono rinnovare ogni cinque anni, dimostrando di aver accumulato un certo numero di esperienza lavorativa. Bene, gli inglesi accolgono la navigazione fatta su qualsiasi unità al di sopra di un certo tonnellaggio, noi, unilateralmente, discriminiamo gli imbarchi su navi da diporto in uso privato (che peraltro sono sempre più spesso più grandi di quelle usate a fini di noleggio). Non riconosciamo i corsi di addestramento effettuati nella Comunità europea, seppur certificati STCW. Non accettiamo tutte le possibilità alternative all’effettuazione dell’intero periodo di navigazione, così come vengono fornite dalla convenzione STCW, ad esempio attraverso la frequentazione di corsi di formazione sostitutivi. Sono solo alcuni esempi, la lista è molto lunga.
LN – Nell’ottica del vostro Gruppo, quanto è importante per la nautica il ruolo dei marittimi?
Direi che è importante per l’economia del Paese. Un comandante italiano (qualsiasi sia la bandiera della nave da diporto), molto spesso si traduce in un equipaggio italiano, un porto base e un cantiere di manutenzione italiano. E ci permettiamo il lusso di perderne 4-5 al mese! Ogni anno si incrementano gli scafi nuovi varati in Italia ma si perde l’ opportunità di imbarcare marittimi italiani . Mi schiero assolutamente con loro per ottenere pari diritti.
LN – Quali interventi urgenti sono augurabili da parte delle forze politiche?
Sollecitate da UCINA Confindustria Nautica, con il supporto della nostra associata Italian yacht master (associazione maggiormente rappresentativa dei comandanti), come dicevo le forze politiche hanno accolto tutte le nostre istanze. Ora la palla è al Ministro Delrio, cui chiediamo in generale di occuparsi di più di economia del mare e in particolare di dare un chiaro segnale alla Divisione competente del suo ministero che le ragioni della Politica (con la P maiuscola), del lavoro e delle imprese deve venire prima di quella gerontoburocratica.